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Corrado Tria fotografo

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  • Vincenzo, in coma da più di quattro anni, le ultime parole che mi ha chiesto di riferire sono state: “dite a Corrado che l'ho sempre amato, anche se non ci crederà”.  Era un ospedaliero, chimico e studioso; sapeva che poteva morire da un momento all'altro e non ha voluto la minima goccia di tranquillante durante le quasi 10 ore di attesa. Le considerava inutili. Nonostante l'intervento è sopravvissuto e ora riusciamo a comunicare, sente, capisce, mi parla con il movimento degli occhi.  E piange.  E ride.  Con lui ho sempre avuto un rapporto sincero, piangeva davanti a me senza alcuna vergogna, non aveva maschere e ora ne ha ancora meno. Ora, una parte di lui (il corpo, la maschera che abbiamo tutti) è morta, è bloccato a letto; quando posso lo prendo in braccio e lo porto in camera sua, sul suo “letto di sposo” o nel prato.  Non posso sempre, purtroppo.  Voglio narrare il mio punto di vista, voglio essere uno spettatore attento che rinuncia ai colpi di scena.  La camicia appesa è l'abito che indossava spesso prima dell'intervento chirurgico, l'interruttore della luce è ora circondato da un muro ormai sporco (ci alziamo spesso di notte).  L'albero che ho fotografato è stato piantato da suo padre, diceva.  La collezione ha un nome, “Koimao”, etimo di "coma” perché voglio comprendere a fondo i miei veri sentimenti senza fermarsi alla superficie.  Queste foto fanno parte di una collezione personale che non so se finirà mai, il suo scopo non è quello di elemosinare pietà o attenzioni particolari (non mi interessa) ma è una ricerca della relazione tra noi due.  Lui che sorride, nonostante la situazione, se gli metto una maschera in faccia.  Lui che dice di vedermi fuori fuoco.  Lui è Vincenzo, mio ​​papà. Lei è Daniela, mia mamma.
  • 2015 - Koimao
  • 2015 - Koimao
    2016 - GUARDA IL PROGETTO KOIMAO
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